PETER FRANKOPAN, LE VIE DELLA SETA. Una nuova storia del mondo.
PETER FRANKOPAN, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Mondadori, 2017, pp. 969, € 16,00
È dalla prima metà degli Anni Ottanta del secolo scorso, da quando cioè per l’esame di storia moderna presso la neonata Università di Verona preparai “Le strutture del quotidiano” e “I giochi dello scambio”, i primi due volumi della trilogia “Capitalismo e civiltà materiale” di Braudel, che cominciai a rendermi conto come per un efficace insegnamento di una storia all’altezza dei tempi e alle esigenze di bambini/e, a partire dalla scuola elementare, come si diceva allora, ad un/a maestro/a, non bastasse unicamente una preparazione metodologico-didattica dando per ovvi e scontati i contenuti enciclopedici della storia-materia proposti da sussidiari e manuali. Da quegli stessi anni, con la frequentazione di Ivo Mattozzi e la pratica delle sue proposte, prima, e la partecipazione alle ricerche di Clio’92, poi, quell’idea iniziale maturò nella convinzione che ogni docente, qualunque fosse l’ordine scolastico – anche le e gli insegnanti della scuola dell’infanzia – dovesse fondare la propria azione didattica su una profonda messa in discussione della propria preparazione in ogni campo disciplinare, nel nostro caso attraverso un’assidua frequentazione della produzione storiografica con la spinta di una motivata critica all’impianto teorico e metodologico del canone storiografico alla base dell’insegnamento scolastico, ancor più in presenza del progressivo mutare della composizione demografica delle classi. Così è diventato un tratto della mia professionalità quello di un inquieto vagabondare con gli strumenti di Clio’92 nel campo della produzione storiografica, sia in libreria che nel mondo di internet, alla ricerca di opere indirizzate oltre la solita storia eurocentrica e nazionalista, bianca e maschilista. Un tratto che continua a caratterizzarmi anche fuori dalla vita professionale, un po’ per passione ma soprattutto, da cittadino, alla ricerca di un orientamento nel nostro tumultuoso presente, segnato dagli sviluppi di dinamiche storiche radicate nel passato con le loro durate differenziali, con il gioco di permanenze e mutamenti, con gli intrecci dei fenomeni.
Qualche tempo fa la mia attenzione è stata attirata da un corposo volume dalla ricca sovracopertina blu e turchese – un particolare del soffitto della famosa moschea di Jameh Yazd in Iran – intitolato “Le Vie della Seta. Una nuova storia del mondo”, Mondadori 2017, pag. 725, scritto da Peter Frankopan, docente di Storia bizantina all’Università di Oxford, senior research fellow al Worcester College e direttore dell’Oxford Centre for Byzantine Research. Scorrendo le pagine iniziali sono rimasto immediatamente intrigato fin dall’incipit della prefazione.
“Da bambino, uno dei miei beni più preziosi era un grande planisfero. Era appeso sulla parete accanto al mio letto, e io ogni sera, prima di andare a dormire lo fissavo a lungo. (….) I nomi delle principali catene montuose e dei deserti (… ) mi ispiravano emozioni di pericolo e di avventura. Giunto all’adolescenza, avevo maturato un’insofferenza per la prospettiva geografica inevitabilmente ristretta delle lezioni scolastiche, che si concentravano soltanto sull’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, ignorando gran parte del mondo. (….)Io alzavo gli sguardi sulla mia mappa e vedevo enormi regioni del mondo sotto silenzio”. (p.5)
Poche righe più avanti Frankopan segnala altresì al lettore come, in occasione del suo quattordicesimo compleanno, il giovane Peter abbia ricevuto in regalo dai genitori un libro di Eric Wolf sui popoli senza storia, che per lui costituì “una vera e propria illuminazione”, riportandone un passo centrale.
“La storia della civiltà comunemente e pigramente accettata è una storia in cui «l’antica Grecia generò Roma, Roma generò l’Europa cristiana, l’Europa cristiana generò il Rinascimento, il Rinascimento l’Illuminismo. L’Illuminismo la democrazia politica e la rivoluzione industriale. L’industria, unita alla democrazia, a sua volta ha prodotto gli Stati Uniti, dando corpo ai diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità.» Mi resi conto immediatamente che questa era proprio la versione che mi era stata raccontata: il mantra del trionfo politico, culturale e morale dell’Occidente. Ma questo resoconto era fallace; c’erano altri modi di guardare alla storia, modi che non implicavano di guardare al passato dal punto di vista dei vincitori della storia recente.” (pp. 5 – 6)
Una versione, quella richiamata, in cui il Mar Mediterraneo, con il suo significato di centro della Terra, e successivamente gli Oceani, avevano finito col divenire il centro non solo dei traffici economici, ma anche dell’interpretazione della storia del mondo, fornendo così alle potenze marittime mediterranee ed atlantiche (Atene, Roma, Spagna, Olanda, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) una giustificazione e un ruolo determinante nello sviluppo non delle, ma della “civiltà” tout court. Viceversa per Frankopan il cuore del mondo, il Mediterraneo vero, fu costituito per secoli dalle società e dalle civiltà che si erano sviluppate all’interno dell’enorme massa continentale, una sorta di smisurato corridoio, costituita dal Vicino e Medio Oriente, dalla Russia, dall’altipiano iranico e dai territori desertici e/o montuosi che si estendono dal Caucaso fino alla Cina e all’India, attraverso l’Afghanistan e l’Himalaya.
“Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Moenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni.” (pp. 7 – 8)
Un’area sconfinata che ancora oggi comprende quasi i due terzi della popolazione mondiale. Ma che già millenni or sono aveva costituito il terreno sul quale si erano formate le prime civiltà urbane, i primi traffici internazionali con i conseguenti scambi non solo di merci e prodotti ma anche di culture e di idee, dove si erano incrociate le filosofie e le interpretazioni cosmologiche destinate a dar vita alle grandi religioni. Uno spazio di relazioni secolari con un fitto reticolo di strade e percorsi che collegavano città costiere e remotissime località dell’interno, che già a fine Ottocento prese il nome di “Vie della Seta”. L’attenzione di Frankopan per una storia del mondo da un punto di vista diverso da quella canonica eurocentrica è stata sollecitata non solo da motivazioni e curiosità giovanili, ma soprattutto dal rinforzarsi di processi storici che con l’ascesa di nuove potenze mondiali come la Cina e l’India (solo per citare le due più importanti) hanno costretto anche la storiografia occidentale, in particolare quella anglo-sassone, a fare i conti con le nuove realtà emergenti e con le discutibili verità propinate nei corsi scolastici ed universitari durante gli ultimi due secoli almeno. Oggi, per molti studiosi in diversi campi del sapere, le drammatiche turbolenze che negli ultimi decenni hanno scosso la “spina dorsale dell’Asia”, irradiando smarrimento nel resto del pianeta, vanno interpretate come i segnali del graduale ritorno del centro di gravità del mondo in quello che è stato per millenni il suo crocevia storico. Se infatti nei secoli dell’età moderna le nuove vie d’acqua oceaniche che hanno messo in contatto il Vecchio e il Nuovo Mondo hanno mutato gli schemi di interazione globale, spostando sull’Europa occidentale il baricentro politico ed economico mondiale, ai nostri giorni sembrano sempre più evidenti i segnali della rinascita a nuova vita delle cosiddette “Vie della Seta”. Certo che in questa nuova fase a percorrerle non saranno i tessuti, l’oro, il grano, i cavalli, gli schiavi, ma le immense ricchezze minerarie – petrolio, gas naturale e altre risorse energetiche – che hanno costituito la posta in gioco nel confronto fra le potenze nel corso del Novecento. Così nel contesto di questa ristrutturazione geopolitica ed economico-culturale del mondo, con il suo monumentale affresco Peter Frankopan ci invita a guardare alla storia con occhi diversi, e a riconsiderare il ruolo cruciale svolto in passato da popoli, società, culture e luoghi finora pressoché ignorati o relegati sullo sfondo, che sono in procinto di tornare prepotentemente alla ribalta della scena planetaria. La storia di queste realtà è tracciata da Frankopan attraverso venticinque intensi e densissimi capitoli, ognuno caratterizzato da un tema centrale indicato nel titolo: La Via delle Fedi, La Via della Rivoluzione, La Via dell’Argento, La Via dell’Oro nero, La Via del Grano, La Via della Guerra e così via, soltanto per citarne alcuni. Dopo il primo dedicato alla creazione della Via della Seta che ha una scansione millenaria, dal IV sec. a.C. al IV d.C., quelli successivi fino al XVI e XVII secolo coprono uno lasso temporale tra l’uno e i due secoli, mentre agli ultimi cinque secoli sono dedicati la metà dei capitoli e la conclusione, corrispondenti a metà volume circa. Questo andamento rispecchia altresì le tematizzazioni, le modalità di analisi, le forme di scrittura diverse con cui vengono focalizzati gli oggetti di indagine. Infatti sono privilegiate le descrizioni di quadri d’insieme delle diverse società e delle loro strutture materiali nei loro intrecci soprattutto economici e culturali per le epoche più lontane. Viceversa, per le epoche più recenti viene posta grande attenzione anche agli aspetti politico-militari e alle vicende geopolitiche che strutturano e ristrutturano le presenze e le relazioni con gli spazi delle “Vie della Seta”. È un’opera quella di Frankopan che ho dovuto seguire con l’ausilio dell’Atlante storico e dell’Atlante geografico, densa com’è di riferimenti “eccentrici” rispetto alla mia mappa del mondo e del passato. Con un atteggiamento di pazienza e disponibilità per cogliere e riempire i buchi di un’ignoranza geostorica da arrossire, e per rivedere e ricollocare temi ed informazioni all’interno di nuovi quadri di riferimento. A questo proposito, ad esempio, se per quanto riguarda il Novecento risulta familiare il capitolo intitolato la “Via della Guerra fredda”, un po’ più ostico è riconcettualizzare i capitoli relativi alla Seconda guerra mondiale e alla Shoah rispettivamente come la “Via del Grano” e la “Via del Genocidio” sempre col “corridoio eurasiatico” come crocevia connettivo dei fenomeni considerati. O intuire che con la “Via alla Catastrofe” e la “Via alla Tragedia”, titoli degli ultimi due capitoli, il lettore è portato a storicizzare il passato più recente dagli anni Cinquanta ad oggi, con i conflitti attuali, i significati dei quali Frankopan riprende nella conclusione intitolata “La Nuova via della Seta”.
“Da molti punti di vista, la fine del XX secolo e l’inizio del XXI si sono rivelati disastrosi per gli Stati Uniti e l’Europa, impegnati nella loro fallimentare battaglia per mantenere la loro posizione nei territori di vitale importanza che collegano l’Est con l’Ovest. Ciò che è apparso evidente negli ultimi decenni è la mancanza di prospettiva dell’Occidente rispetto alla storia globale, ovvero rispetto al quadro complessivo, ai temi più vasti e agli schemi più ampi che sono in gioco nella regione. Nelle menti dei pianificatori, dei politici, dei diplomatici e dei generali, i problemi dell’Afghanistan, dell’Iran e dell’Iraq sembrano distinti, separati e soltanto vagamente connessi tra loro”. (p. 581)
E ancora:
“Ma c’è ben di più in gioco, al di là dei maldestri interventi occidentali in Iraq e in Afghanistan, o dei tentativi di esercitare pressioni in Ucraina, in Iran o altrove. Da est a ovest, stanno ancora una volta rinascendo le Vie della Seta […] Sono tutti segnali che indicano che il centro di gravità del mondo si sta spostando, per ritornare nel punto dove è stato per millenni.” (p. 582)
Sono riflessioni che ricollegano l’interesse e lo studio sull’importanza passata delle Vie della Seta alla crisi attuale dell’Occidente e del suo ruolo di dominio nel mondo, esplicitando come i conflitti attuali che sconvolgono il pianeta e in particolare i molti territori toccati dalle antiche Vie, siano dovuti alla necessità di ridefinire chi governerà il futuro e le Vie della Seta che stanno tornando a tracciarlo.
“L’era dell’Occidente è a un crocevia, se non al capolinea. […] Il mondo intorno a noi sta cambiando. Stiamo entrando in un’era in cui il dominio politico, militare ed economico dell’Occidente comincia ad essere messo in discussione, provocando un senso di incertezza inquietante” (pp. 593 – 595)
Una dinamica conflittuale che vede tra i protagonisti proprio la storia:
“Mentre le forze dell’ordine sono impegnate in un costante gioco del gatto col topo con chi sviluppa nuove tecnologie miranti al controllo del futuro, la battaglia per il passato sta ugualmente assumendo un’importanza decisiva nella nuova epoca in cui stiamo entrando.” (pp. 591 – 592)
Una dinamica dagli aspetti curiosi e contradittori che si possono cogliere anche limitandoci alla lettura di alcuni passi dell’introduzione al n°. 8/2020 del mensile “Limes” intitolato “È LA STORIA BELLEZZA. Le potenze riscrivono il passato per compattare il fronte interno in vista della resa dei conti”. Dove da una parte si sottolineano alcuni elementi di criticità della “storia all’europea” in Occidente: “La conseguente epidemia iconoclasta partita dall’America alle prese con una delle sue periodiche crisi di identità – piuttosto convulsa e di non prossima sedazione – s’è diffusa nell’Europa in doloroso rientro dalla vacanza post-storica. Sotto tiro simboli veri o presunti del razzismo americano, oltre che dell’imperialismo bianco anglosassone e veterocontinentale”. (p. 7) E dall’altra invece: “I principali avversari del Numero Uno, dalla Turchia “alleata” alla Russia nefanda per gene, dal maligno Iran all’unico sfidante titolare, o facente funzione, la Cina rossa, paiono immuni dal virus iconoclasta. Al contrario, sono impegnati a consolidare le fondamenta dei rispettivi Stati affondandole in passati assai remoti, gratificanti. Ricatalogano gli archivi del potere con cura analoga nel metodo ma opposta per scopo e stile agli iconoclasti dell’Occidente. Il metodo è l’anacronismo, miracolosa pesca nel passato alla scoperta/invenzione di ciò che conviene. Lo scopo: rilegittimare le istituzioni specie se autoritarie, perciò refrattarie al libero contrasto delle narrazioni”. (p. 8)
Proprio secondo la lezione della “storia all’europea” nell’ultimo mezzo millennio si potrebbe chiosare ritornando a Frankopan a proposito dell’affermarsi dell’Europa al centro del mondo. “Al di là dei mari era stato scoperto un Nuovo Mondo, ma un mondo nuovo stava nascendo anche da questa parte dell’oceano. (…) Il nuovo compito era reinventare il passato. La triste fine dell’antica capitale imperiale (n.d.r. caduta di Costantinopoli, 1453) offriva un’occasione unica per rivendicare il lascito dell’antica Grecia e dell’antica Roma da parte dei loro eredi adottivi; un’occasione che fu colta con piacere. Di fatto, la Francia, la Germania, l’Austria, la Spagna, il Portogallo e l’Inghilterra non avevano nulla a che fare con Atene e il mondo degli antichi Greci, ed erano rimaste perlopiù periferiche rispetto alla storia di Roma, dalle origini fino al suo crollo. Ma si preferì sorvolare su questo aspetto, mentre letterati e architetti si mettevano all’opera mutuando dall’antichità temi, idee e testi per produrre una narrazione che attingeva selettivamente dal passato e che, col passare del tempo, divenne non solo più plausibile, ma semplicemente, la norma. Perciò, benché gli studiosi abbiano a lungo chiamato questo periodo ”Rinascimento”, non si trattò affatto di una rinascita. Semmai, si trattò di una Nascita, di un venire alla luce. Per la prima volta nella storia, l’Europa era al centro del mondo”. (pp. 252-253)
In ogni caso, si condivida o meno la tesi di Frankopan secondo cui l’età dell’Occidente volge al termine, a livello di singoli e di Istituzioni, diventa più urgente che mai un radicale cambiamento di prospettiva che ci aiuti – come fa l’autore del libro con questo suo lavoro – a comprendere la storia delle popolazioni e delle terre delle Vie della Seta, per affrontare in modo consapevole un processo che per certi versi, nel lungo periodo potrebbe, sembrare ormai irreversibile.
Giulio Ghidotti